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I detti dell’antica Genova e la medicina cinese

La saggezza popolare dà spesso ricette perfette e ancora più spesso centra il problema con la grande precisione data dai secoli di esperienza tramandata. Quando ho iniziato a studiare medicina cinese, mi è subito saltato agli occhi come molti detti tradizionali genovesi dicessero con altre parole quello che stavo imparando. Per questo ho pensato di analizzare le corrispondenze tra gli antichi detti genovesi e gli antichi testi di MTC, il Suwen e il Lingshu. Non saprei dire se certe similitudini siano frutto di contaminazione culturale o di convergenza evolutiva.

Sicuramente però la riscoperta, attraverso questi studi, di valori universali è di grande utilità per il benessere delle persone e può portare ad una sinergia utilissima per migliorare la qualità della vita delle persone  e far accettare maggiormente l’intervento degli operatori di Medicina Cinese. In effetti risulta molto confortante per talune persone pensare che certe pratiche erano in voga già presso i nostri nonni piuttosto che accettare strategie di trattamento esotiche così distanti culturalmente dalla nostra realtà.

Che dire? Tutto il mondo è paese.

La tecnica della coppettazione era già praticata con successo dai nostri avi; il famoso cannello di zolfo per il torcicollo, che mi hanno detto essere pratica sconosciuta in altre zone dell’Italia, si usava con successo secoli fa e comunque sono solo una  parte delle tante “ricette della nonna” che insieme ai consigli sull’alimentazione mantenevano in salute in tempi in cui si chiamava il veterinario per la mucca ma non il dottore per i cristiani.

Ecco quindi cosa dicono i vecchi proverbi e i vecchi detti genovesi (ma naturalmente non solo genovesi):  

EÙ COSCI TRISTE CHE O ME VEGNÎU O MAGONE
Ero così triste che mi è venuto il magone, un groppo in gola (storicamente Magone era un pirata che mise a ferro e fuoco la città, da qui il detto a richiamare una grande tristezza che fa mancare il respiro). 

Il collegamento con la medicina cinese è immediato: dice il Lingshu: “La tristezza corrisponde al polmone ed è la perversione del movimento metallo. Quest’ultimo è condensazione e concentrazione per riportare le ricchezze della vita all’interno. Nella tristezza esso diventa compressione che stritola il cuore, impedendo sia la circolazione di un sangue la cui qualità è diminuita, sia l’espandersi degli spiriti. Questa ostruzione annienta i liquidi e i soffi del polmone. Ci si inaridisce per la tristezza e ci si rifiuta di ridare slancio alla propria vita secondo l’incitamento del fegato, movimento legno”.

COSCÌ TANTA POÎA CHE ME SÓN PISCIÒU IN TE BRÂGHE
Così tanta paura che mi sono fatto la pipì nei pantaloni.

Sempre dal lingshu: “Quando vi è debolezza dei soffi e del fuoco, il movimento acqua, che attira verso il basso, non è più equilibrato; vince e gela, poco per volta, tutto l’essere. Ecco allora l’insicurezza, l’esitazione; si è inchiodati sul posto, paralizzati, irrigiditi. La paura che corrisponde ai reni è la perversione del movimento acqua… La paura è cedimento senza trattenimento, la discesa senza controllo”.

0 LA GUAGNU A-A SISA E O L’EA COSCI CONTE’NTO CHE O GHE’ VEGNÎU ‘N CÒRPO
Ha vinto al totocalcio ed era così contento che gli è venuto un infarto.

L’ALEGRÎA A FA BÓN SÀNGOR
L’allegria fa buon sangue.

O RÎE O FA BÓN SÀNGOE
Il riso fa buon sangue.

Direi che bisogna innanzi tutto distinguere la gioia fisiologica da quella smodata e patologica, questo già si deduce dai caratteri che rappresentano questo stato d’animo, come spesso succede analizzando la scrittura delle parole cinesi xi le (喜乐), allegria e gioia. Xi (喜) viene rappresentato con una mano che batte sulla pelle di un tamburo e con una bocca che lascia erompere canti di gioia: il piacere delle feste del villaggio, l’eccitazione dei canti e delle danze al suono frenetico del tamburino, l’allegria.

Le (乐) rappresenta invece il grande tamburo, incorniciato di timbri, montato su un piede di legno; ecco la gioia, la musica ufficiale delle regole precise che, a corte, ritma le cerimonie e la vita dell’impero con potenza e maestà.

Ma citiamo direttamente il Lingshu: “Nell’allegria vi è dell’eccitazione, qualcosa di rapido e leggero, secondo l’immagine della mano che batte il tamburo con velocità e ritmo; il dinamismo vitale scoppia, si manifesta con la petulanza della giovinezza, sotto l’impulso di un sangue rosso chiaro. Nella gioia come anche nella musica vi è più calma, più lentezza, più profondità e tranquillità, più armonia e vibrazione concertata, orchestrata. Unire allegrezza e gioia è manifestare la gioia di vivere che nasce dal movimento di soffi la cui circolazione ordinata dà una spinta che è resa una dal cuore e nel cuore. L’allegria e la gioia corrispondono al cuore.

Presa dalla parte negativa sono la perversione dell’elemento fuoco. Quest’ultimo illumina e riscalda affinché gli effetti del dispiegarsi, delle dilatazioni, delle circolazioni e delle comunicazioni libere e facili si percepiscano in ogni parte dell’essere. Se il fuoco è senza controllo, tutto si diffonde ovunque e si disperde verso la periferia, verso l’aria libera, verso ciò che è lontano, persino fuori portata. Se la gioia è senza controllo, il benessere diviene impercettibilmente eccitazione: lo yang, non più sottomesso al controllo, dispiega i suoi effetti che affascinano perché è il movimento più naturale della vita; ma in questo modo esso si sperpera e si esaurisce, lasciando l’essere prostrato e inebetito, senza sapere a che cosa imputare questo stato di disillusione”.

Ma veniamo alla gioia come sentimento positivo ed armonioso che, dicono i proverbi, fa buon sangue. Il qi alimentare è trasformato in sangue nel cuore: questo è un aspetto del principio che il cuore governa il sangue. Nel testo “Xue Zheng Lun” (trattato sulle malattie del sangue), Tang Zonghai (1884) afferma: “L’acqua è trasformata in qi, il fuoco è trasformato in sangue… come possiamo dire che il fuoco è trasformato in sangue? Il sangue e il fuoco sono entrambe di colore rosso. Il fuoco risiede nel cuore dove si genera il sangue, che umidifica tutto il corpo. Il fuoco è yang e genera il sangue che è yin”.

La relazione tra cuore e sangue è molto importante perché determina la forza costituzionale di un individuo. Se il cuore è forte, il sangue è abbondante e la sua circolazione buona. Naturalmente in questo caso l’attività mentale sarà normale, la vita emozionale equilibrata, la coscienza chiara e la memoria buona. In questo stato di salute lo shen alloggiato nel cuore sarà sereno e tranquillo, sarà facile allacciare relazioni con le altre persone. Ed ecco come un’emozione gioiosa ed equilibrata è alla base del benessere dello shen e di conseguenza del cuore.

Ancora dal lingshu: “La collera patologica è la perversione del movimento legno. Quest’ultimo è la forza che origina i movimenti e li spinge fino al loro punto estremo, lo slancio per l’elevazione, l’impetuosità che fa andare avanti. Quando rompe i suoi ormeggi, abbandona le sue radici, perde il controllo: è impeto d’ira, il furore scatenato, la rabbia irragionevole”.

A Genova? “In sciupòn de fòtta” … bello uguale


U MÈ VEGNÛO IN SCIUPÓN DE FÓTTA DA TRAVASÒ DE BÎLE
Mi è venuto uno scoppio di ira da travaso di bile.

COSCÌ NERVÛZU CHI ME RODE O FIGǼTO
Sono così nervoso che mi rode il fegato.

SÉNSA VÌN SE NÀVEGA, SÉNSA MOGÓGNI NO
Senza vino si naviga, senza mugugno no. 

Anticamente all’imbarco si poteva scegliere una paga più bassa con la possibilità di mugugnare (per chi non parla genovese, lamentarsi) o una più alta senza questa possibilità. Restando sullo specifico dei genovesi la pratica di essere imbarcati con una paga più bassa potendo sfogare i malumori con il mugugno era cosa ricorrente e pare che, nonostante la parsimonia tipica dei nostri avi, quasi tutti scegliessero questa opzione. Forse sapevano che rimuginare senza potersi sfogare danneggia la milza ed anche il fegato.

Sempre dal Lingshu a proposito dell’ira: “Quando è trattenuta, l’agitazione e l’insoddisfazione generano blocchi non risolvibili, situazioni senza uscita che ci rodono”.  

Tante sono ancora le cose da riscoprire ma in sintesi mi viene da dire che per progredire bisogna guardare con attenzione al passato, certo con spirito critico ma sempre alla ricerca di quelle perle di saggezza che in esso sono copiosamente sparse. 

Per finire il consiglio di un ascolto:  una canzone che sembra d’amore, se non si capisce il genovese,  in realtà è una sequenza di detti e superstizioni popolari per preparare la ‘Cima’ (tipico piatto genovese). “A CIMMA”, F. DE ANDRE’ 

2 commenti su “I detti dell’antica Genova e la medicina cinese”

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Mauro Smeraldo

Operatore TuiNa e docente presso la Scuola di Medicina Tradizionale Cinese Amal di Genova, Musicoterapista, Arteterapeuta, istruttore Nidan di JuJitzu.